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Fabio Bonaiti

«La fame fa parlare». La Grande Guerra dei Carennesi al fronte e in paese


Si è aperta con la lettura dei nomi dei 29 caduti carennesi la serata che l’Amministrazione di Carenno ha voluto dedicare al ricordo delle fatiche e dei dolori vissuti dai soldati al fronte ma anche delle popolazioni civili in paese durante il primo conflitto mondiale. 29 giovani – l’età media non tocca i 25 anni – morti tra i reticolati, le trincee e gli ospedali da campo «ai quali bisogna aggiungere anche i nomi di coloro che non vengono ricordati dalle lapidi e dai monumenti: i caduti per le decimazioni, i suicidi, le vittime delle esecuzioni sommarie, quanti impazzirono per le violenze della guerra», ha ricordato il professor Fabio Bonaiti.

È stato proprio lo storico a condurre un paziente lavoro di ricerca nell’archivio municipale alla ricerca di documenti, lettere e testimonianze che venerdì sera hanno preso di nuovo vita grazie alle letture ad alta voce di alcuni Carennesi. E così sono risuonate ancora le voci dei ragazzi partiti per il fronte, delle mogli a casa ad aspettarli senza avere loro notizie, delle madri disperate per la mancanza di cibo e sostentamento. «La serata è stata intitolata “La fame fa parlare”, come ha scritto una donna di Carenno all’allora sindaco Francesco Carenini», ha spiegato il professore. «Vuole essere in particolare una riflessione sulla vita di coloro che hanno vissuto al fronte ma anche di quanti in paese hanno dovuto combattere nemici come la fame, la miseria, la disperazione, il dolore, il lutto».

È una parabola discendente quella che raccontano le carte ritrovate: dall’entusiasmo iniziale per quella che doveva essere una breve guerra sulle ali degli aerei che per la prima volta solcavano il cielo, fino disperazione delle ultime fasi del conflitto, ben descritte dalla solitudine dei caduti. Non serve retorica per vivere il dolore dei quei giovani che hanno chiuso per sempre gli occhi chi sul Carso, chi sul Pasubio. Basta una lettera, come quella che racconta gli ultimi poveri oggetti personali recapitati alla famiglia di Rigamonti Carlo, morto in combattimento: un portamonete e un portafoglio in cuoio, una chiavetta, un libricino di preghiere, qualche cartolina e qualche lettera. Nient’altro rimaneva di quel giovane carennese, che come altri 650mila coetanei in tutta Italia non ha più fatto ritorno a casa. Tante le storie raccontate. Come quella di Aurelio Rosa che dopo la morte del fratello Pietro nel 1916 è rimasto l’unico uomo della famiglia, dovendo badare alla madre nonché a due cognate vedove e con figli.

Ma come dicevamo la guerra l’hanno dovuta vivere anche i cittadini di Carenno, alle prese con le difficoltà di una quotidianità fatta di padri e mariti partiti per le armi, di tributi (il cosiddetto centesimo di guerra ma non solo) e soprattutto di privazioni di viveri. Diverse sono le lettere di cittadini che scrivono al Sindaco che per chiedere sussidi economici e per sollecitare l’arrivo dei rifornimenti alimentari. E tra i documenti emerge anche una possibile rivolta dei Carennesi stanchi ed esausti di sopportare le fatiche di un conflitto che li stava mettendo in ginocchio. Perché la sofferenza non riguardava solo i poveracci al fronte. Il tutto, come dicevamo, è stato realizzato grazie alla ricerca in archivio comunale del professor Fabio Bonaiti ed allestito con la collaborazione del gruppo volontari biblioteca e del Museo Ca' Martì. In tanti hanno affollato il salone municipale per conoscere e approfondire questa triste pagina della storia del paese. E a rendere ancor più commovente i racconti sono state le canzoni del coro “Chichecanta” di Monte Marenzo che ha intonato le musiche composte dagli stessi soldati: parole di amore e morte, guerra e malinconia. «Questo evento è voluto essere una occasione di riflessione sulla guerra, che è sempre distruzione e mai una soluzione», ha concluso il vicesindaco Gabriella Zaina. «Rivolgiamo infine ai cittadini un appello: chi volesse contribuire alla ricostruzione della storia del paese con documenti e foto di famiglia in suo possesso può rivolgersi a me o al professor Bonaiti. Ne verrà effettuata una copia digitale, saranno così disponibili per la ricerca storica e sarà possibile restituirli immediatamente».

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